ANTONELLA SPALLUTO: FRAMMENTI VELOCI
Frammenti: sorpresi dapprima nella loro dimensione meramente iconica, registrati come appunti per sequenze ignote: effimeri, inclini a far luogo ad altre pose, a gesti altrettanto indispensabili e vani.
Frammenti: che non si sottraggono alle derive emozionali né rinunciano a prender corpo nell'espressione (di per sé un "esser fuori", secondo una formula heideggeriana) durante l'attimo indefinito da cui sono circoscritti. Che impercettibilmente accrescono la consistenza delle figure sigillate sul fondo dei singoli lavori sino a farne presumere imminente il distacco, l'invasione del mondo nell'attitudine inquietante di "doppi" ancora incompleti.
Frammenti: da indagare trasversalmente, come accumuli di sedimenti stilistici (dagli accenti d'impassibilità della Neue Sachlichkeit, ormai semisepolti, a tortuosità e chiaroscuri di matrice barocca, al linguaggio iperrealista di certa recente scultura americana) cementati da materia e colore, senza discrepanze.
Frammenti veloci: in cui si ipotizza un transito da una forma anteriore ad una possibile, annunciando nel torcersi dei rilievi (rigidi sotto le dita) l'inseguimento di quest'ultima, condotto lungo un versante ove infine anche i tratti più scopertamente mobili si assestano (si compongono) in una cornice di fissità sconvolta.
s.r. (1987)
Nel lavoro di Antonella Spalluto si avverte la presenza, a livello di intenzionalità operativa, di due elementi cardine: lo stravolgimento (attuato mediante la sovrapposizione di griglie espressive di matrice barocca ed espressionistica) di un'immagine base fredda, fotografica; la tensione, comune anche ad altri giovani artisti (ne fa cenno Viana Conti nel presentare la personale di Stefania Rossi al Circolo BNL) verso la tridimensionalità.
Nei quadri, prevalentemente di piccolo formato, esposti nella saletta della Libreria Il Pungolo, denominati significativamente - a rimarcarne il carattere di forme in transito - "frammenti veloci", questa ricerca procede attraverso un progressivo ex-crescere dalla figura di fondo, sino a raggiungere, nei volti e nel panneggio, la sembianza del bassorilievo; attraverso una scarnificazione del modellato che si fa via via più fitto di asperità, di tagli, d'incavi, sino all'approdo ad una sorta di "fissità sconvolta".
s.r. (1987)
INTERAZIONI
Che cosa sa, il mio corpo, della fotografia? O - rovesciando il dettato dell'interrogativo barthesiano : che cosa sa, la fotografia, del corpo? E la pittura?
Incontestabilmente la figura-corpo è fra quelle che non possono eludersi. Qui assoluto, punto d'incontro e di ribaltamento fra interno ed esterno, carne del mondo, occupa lo spazio che si apre fra la percezione sensoriale immediata ed un illimitato orizzonte metaforico. Veniamo perciò indotti a ritenere che il suo costante riemergere fra le rapporesentazioni artistiche abbia a che fare più con il destino, se si vuole, che con il semplice sguardo, o - altrimenti - che sia la connotazione forte del corpo, insieme di significati vissuti, a determinare lo straripamento passionale, il transfert di forze dal campo della vita a quello della pittura (o della fotografia).
Ci si domanda se sussista, in fatto, una radicale divaricazione fra le due discipline. E' lecito dubitare, ormai, della consistenza del distinguo tradizionale che vuole la fotografia ancorata - per così dire - al referente concreto. Benché l'immagine fotografica incorpori, in ogni caso, il proprio soggetto (giacché inquadra, comunque, un fenomeno) se ne distanzia tuttavia, per caratterizzazione stilistica, in guisa non meno pronunciata di quanto non accada per la raffigurazione pittorica. Il discrimine effettivo sembra risiedere nelle concrete modalità tecnico-operative (l'essere la pittura affidata alla manualità e la fotografia ad un processo chimico-fisico) più che in una determinazione di "verità" della prima e di "esattezza" della seconda o - come vorrebbe Weston - nell'atteggiamento creativo (in certo senso prevaricatore della realtà) o ricettivo-indagatore dell'artista.
corpo freddo
La tecnica fotografica stabilisce infiniti contatti fra luce e materia.
Così, nelle immagini di Francesco Arena, la presenza del soggetto (il nudo che attraversa od occupa il campo del fotogramma) si dissolve nella perlustrazione della figura scandita dalla luce. Il contrasto dispiegato fra i toni chiari, freddi, e la profondità - graduata, ma senza nuance - delle ombre sembra negare il corpo come luogo di vita e tendere ad una sua definizione inespressiva. Nel contesto impassibile, indifferente all'individualità dei modelli, il corpo si dispone come pretesto di verifica formale, una composizione di volumi su cui la luce può arrestarsi, distribuendosi (riflettendosi, quasi, per sovrabbondante intensità) sulle superfici in aggetto ed affondando tra le incavature delle membra. L'abolizione dei volti accentua il carattere impersonale dell'immagine, che si colloca al di fuori di ogni prospettiva temporale, immobilizzata dalla posa - che forza con una leggera innaturalità dell'atteggiamento un equilibrio altrimenti troppo agevole - in una condizione statuaria.
corpo vuoto
"Il volto umano non ha ancora trovato la sua faccia ..." - ha scritto Artaud - "è una forza vuota, un campo di morte".
La forza del vuoto, l'assorbimento ed il trasudare della materia nel dipinto, frammento veloce strappato ad una sequenza di possibili, connotano invece la pittura di Antonella Spalluto, incline a ripetere nella provvisorietà del segno-gesto il carattere mutevole e indeterminato dell'esperienza vitale. Il tratto definisce, contornandola, la vuotezza del corpo, separandolo e saldandolo al tempo stesso alla spazialità circostante attraverso un "disegno fondamentale" in cui l'appunto mnemonico si converte in nervatura dell'essere. Gli addensamenti cromatico-materici, svincolati da funzioni meramente descrittive, danno accesso ad un livello sostanziale (di sub-stantia), testimoniando - nella loro tensionalità espansiva - l'urgenza di un contatto con la realtà non mediato dalla trasposizione figurale, di una prossimità al mondo che, nel momento stesso in cui appare raggiunta, si rivela pur sempre inattingibile.
s.r. (1988)