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“crimes & suicides” |
Claudio Costa a Villa Croce,
Pier Luigi Fresia da Leonardi V-idea, “Il corpo rinato” da Caterina
Gualco. Un insieme che da solo
sarebbe bastato a far considerare positivamente questo scorcio iniziale
dell’anno. Subito dopo,
l’inaugurazione di Pinksummer (con Murakami e Manetas) e la grande rassegna
di Nick Waplington allestita da Rebecca Container in uno splendido spazio al
piano nobile di Palazzo Ferretto hanno dato un impulso inatteso alla
stagione, portando a Genova proposte nuove, di portata internazionale. A questo punto l’idea che qualcosa in
città si stia muovendo viene ad assumere qualche consistenza. Ci si augura che questo dato di novità
possa venir recepito da un collezionismo più aperto e sostenuto dalle
amministrazioni pubbliche, talune delle quali (leggi: la Provincia) hanno
recentemente offerto qualche segno di novità, mentre altre (leggi: il Comune)
hanno ormai esaurito indecorosamente la strategia di espedienti che ha
presieduto, con rare eccezioni, la programmazione di Palazzo Ducale. Waplington, fotografo e
cineasta, ha al suo attivo una nutrita serie di volumi fotografici tra
cui Living Room (1991) e
Wedding (1996, con testi di Irvine Welsh), dedicati a famiglie della
working class inglese, che lo hanno reso famoso. Alla fine del 1997 ha presentato da Holly Solomon a New York la
serie Safety by numbers, anch’essa raccolta in volume. Definito da Carlo McCormick
(associate editor di Paper), un “eroe cult nel suo paese … in possesso
di un tocco casuale che esprime il nucleo anti-intellettualistico
dell’attuale esplosione artistica inglese”, Waplington in questa “prima”
italiana, presenta una sequenza di foto intitolata “Crimini e suicidi”. All’inizio del percorso, un
trittico realizzato in una località britannica nota appunto per la frequenza
dei suicidi in cui l’attesa, la decisione, l’atto, sono rappresentati in uno
scenario vuoto, inquadrando un sedile, il margine di un dirupo, il mare. Negli altri lavori, la morte, i corpi sono
talvolta dissimulati nel contesto (al margine d’uno stagno, sotto una
sporgenza d’una casa abbandonata); in altri casi invece campeggiano al centro
della fotografia (un cadavere è ripreso di schiena appena velato dall’acqua
di una piscina). Incorporati, comunque, nell’immagine come
un dettaglio che non fa più emergere, come in Blow-up, inquietudine e
reattività, ribaltando l’idillio in un nonsense angoscioso, ma si limita a
suggellare una cornice di ovvietà e indifferenza. Emblematico in questo senso
uno dei pezzo collocati nell’ultima stanza che raffigura un bidone
arrugginito dal quale spuntano, fra ciarpame e detriti, un piede e una gamba
insanguinata. s.r. (febbraio 2000) |