Hozro: materiali sugli artisti liguri





ANDY WARHOL: VIAGGIO IN ITALIA


Iniziata sotto il segno di Van Dyck, l'estate di Palazzo Ducale si chiude con l'entrata in scena di un altro artista simbolo, una delle figure centrali della cultura visiva del nostro secolo: Andy Warhol. Un avvicendamento fortuito, prodotto dall'esigenza di coprire con una mostra di circuito il vuoto determinato nel calendario dalla concentrazione delle risorse disponibili sulla rassegna vandyckiana, che trova però uno specifico motivo d'interesse nel confronto fra i due ritrattisti maggiori delle rispettive epoche.

Dal parallelo non emerge solo la distanza che separa la pittura sontuosa e raffinata del Seicento dalle più fredde tendenze contemporanee, esercitate a farsi schermo dell'inquadratura fotografica e degli stilemi della grafica pubblicitaria. Al di là della netta contrapposizione formale si profilano corrispondenze sintomatiche. Come Van Dyck aveva ritratto gli austeri aristocratici genovesi, protagonisti della vicenda finanziaria del loro tempo, così Warhol riproduce sulla tela il volto accigliato di Gianni Agnelli. Mentre ai lavori del maestro di Anversa che raffigurano il gioielliere Puccio od i pittori Lucas e Cornelis De Wael fanno riscontro nella galleria warholiana di personaggi contemporanei le immagini dello stilista Coveri o dell'artista tedesco Joseph Beuys.

E più ancora, in questi giorni, colpisce il fatto che tra i soggetti di entrambi gli autori siano inclusi personaggi della casa reale inglese. Se però i dipinti di Van Dyck che raffigurano Carlo I Stuart o la Regina Enrichetta Maria appartengono alla categoria dei capolavori, i ritratti di Carlo e Diana serigrafati da Warhol nel 1982, quando Lady D. era lontana dall'aver acquisito nell'immaginario popolare il ruolo che la sua tragica scomparsa ha posto in luce, appaiono viziati da un'impaginazione di maniera, privi dell'impatto straniato e incombente delle opere dedicate ad altre icone femminili del nostro secolo come Marylin Monroe, Liz Taylor, Jacqueline Kennedy.

Benchè i ritratti vi occupino largo spazio, svariando dal viso del presidente Mao colorato in azzurro al profilo del gallerista napoletano Lucio Amelio, la rassegna curata da Gianni Mercurio e Mirella Panepinto che si apre oggi a Palazzo Ducale offre contenuti assai più ricchi. Il "viaggio in Italia" di Warhol è documentato con più di cento pezzi unici e 150 grafiche provenienti da collezioni nazionali, originate in parte dalle sortite compiute nel nostro paese in occasione di mostre o di riprese cinematografiche.

Dai piccoli acquarelli con fantasiose forme di scarpe realizzati nel 1955, quando l'artista newyorkese lavorava come illustratore per riviste di moda e ideava campagne pubblicitarie per i negozi di Manhattan, si passa alle immagini riprese dai fumetti ("Batman" 1960), quasi immediatamente abbandonate per evitare sovrapposizioni con un altro dei maestri della Pop Art, Roy Lichtenstein. Non manca una delle sculture in compensato (1964) che riprendono fedelmente l'imballaggio dei barattoli di minestra Campbell, ideate - scrive Ada Masoero - per "demistificare la pittura" e ricondurla alla dimensione di "prodotto" in polemica con "l'immagine, cara agli espressionisti, dell'artista-demiurgo". L'assunzione di quest'ottica spersonalizzata trova il suo equivalente tecnico nel procedimento di riproduzione in serigrafia, da cui prendono avvio le numerose sequenze tematiche esposte, dedicate alla sedia elettrica, ai travestiti, al segno del dollaro, ai miti della cultura di massa come Superman e lo Zio Sam: tutte espressioni di quella che Achille Bonito Oliva ha definito "la fantasia dello statistico".

Più specificamente "italiane" le opere dell'ultimo periodo: la serie "Fate presto" (1981), basata su una delle prime pagine pubblicate da Il Mattino nei giorni successivi al terremoto del novembre 1980, ora nella Collezione Terrae Motus promossa da Lucio Amelio; gli scorci coloratissimi del Vesuvio in eruzione ("Vesuvius" 1985); le elaborazioni, in verità piuttosto stanche, del Cenacolo di Leonardo esposte a Milano nel gennaio 1987, poco più di un mese prima della scomparsa dell'artista. Testimonianze eclettiche della visione anticonvenzionale di un viaggiatore, che - a leggerne la frammentaria "Filosofia" - sembra aver preferito le camere d'albergo o magari il castello di Versace alle sale dei nostri musei ed aver visto nell'Italia non tanto la culla del Rinascimento quanto il paese dove "i cartelloni pubblicitari sono più efficaci che in qualsiasi altro posto".

s.r. (1997)





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